lunedì 5 dicembre 2016

Pere Gimferrer

APPARIZIONI

I

Il sogno non sempre ha colore o movimento.
È uno stato, talvolta. Il sogno di stanotte
era verde e silenzioso come l’acqua
e come l’acqua oscuro, o solo il brusio
di cosa viva, che fluisce sotto il cielo.
Però il cielo mentale che si vede
nella visione degli occhi interiori:
non la vista dei sensi, né il ricordo
della vista dei sensi; non il tremulo colore
di una nube sanguinante, ma un’eco
rossastra di luce che ha fiato ancora
quando il tramonto muore. Era uno stato
il sogno di stanotte. Non il centro,
ma il limite, i confini del mondo.
Sostenendo l’oggetto, prima d’avere oggetti;
prima che esista l’io, prima dell’istante
in cui dirò «Io sono», e ancora sarà sogno,
ma sentendo, nel sogno, che se lo ricordo
aprendo gli occhi, saprò che già esistevo.
Niente ancora poteva interessarmi
perché non ero un essere: ero solo
uno stato, un’attesa. In quelle notti
di tardo inverno, a volte cade, obliqua,
una pioggia finissima. Rinfresca
e il cielo è un faro di porpora bruna,
le strade vuote paiono d’altri tempi.
Pioveva così, scendendo dolcemente,
col senso di morte che dalle vetrine
cancella la pioggia delle città di ieri.
Intendo dire quel tipo di stato
di chi non sa se è vita o se è ricordo
l’istante stesso che ora sta vivendo,
senza stimoli, senza sentire che qualcosa
bisognerà lasciare, o che qualcosa
ci appartiene. Non staccarsi né tenere.
Ero chi ancora non può dire d’aver nome.
In agguato, in attesa della sua identità:
come acqua corrente, o acqua trattenuta,
identica al metallo in cui presto cadrà.
Luce d’acqua confusa con luci di metallo:
metallo doppio, agli occhi, metallo
d’acqua, e metallo della mente e dei sensi,
luce priva di luce, idea di luce.
Perché il tema del sogno è idea dell’io.
Confusamente, sentivo che nel chiarore
immobile e verdastro io proiettavo
nei gesti l’ombra di quello che sono.



Traduzione di Francesco Dalessandro


Da Espejo, espacio y apariciones, Visor Poesia, 1988

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