venerdì 26 agosto 2016

Eloy Sánchez Rosillo,

RECANATI, AGOSTO 1829

(Omaggio a Giacomo Leopardi)

Passano lenti i mesi. È quasi un anno
che sono ritornato – controvoglia,
perché purtroppo non ebbi altra scelta –
alla casa paterna, ed ogni giorno
sembra un’eternità: il tempo non passa
mai se non c’è speranza e si respira
nel dolore e nel tedio. Forse mai
riproverò ad andarmene da qui.
La borsa vuota e le indicibili miserie
che patisce il mio corpo – senza dire
la costante avversione dei miei a farmi partire –
non permettono che pensi a una nuova fuga.
Com’è lontano il mondo, con i giorni
di Firenze e di Pisa in cui credetti
d’essere finalmente un uomo libero.
Fra le pareti dell’inevitabile
vecchio palazzo lotto con l’angoscia
maledicendo il funesto destino
che m’oppone gli affanni. Non ho niente,
e in questo posto infame in cui nessuno
riuscì a capirmi, semmai volle farlo,
m’è estraneo tutto quel che mi circonda.
Solo la cara sorella – forse uguale
a me nella sfortuna – con la sua
premurosa presenza mi è di conforto
e di riparo, dà consolazione
alla mia solitudine. Ma non basta.
Qui, sono solo un morto che respira.
Sì, davvero la vita dura poco.
È un forte, intenso abbaglio che finisce
all’improvviso quando i giovanili
anni sono passati. All’apparenza,
l’esistenza continua. Però no,
non è più vita quello che ci accade
e in questo niente siamo testimoni
postumi di un ben triste simulacro.
Non resta né presente né futuro:
quello che accade ci rinvia al passato,
alla sua antica fiamma. M’è sfuggita,
la gioventù. L’estate inutilmente
canta sul mio dolore. Un altro giorno
d’agosto che finisce. Cade notte.
Dal cielo guarda la pietosa luna.
Sul silenzio profondo delle campagne
trema la luce delle costellazioni.
Alla memoria accorrono le immagini
di ieri. Ed il ricordo mi riserva
lo strano fiore della malinconia.

Traduzione di Francesco Dalessandro

da Hilo de oro, Antología poética, 1974-2011, Catedra, 2014

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