venerdì 24 giugno 2016

Paolo Ruffilli

DEL BERE E DEL MANGIARE

  
È nel suo flusso
nel passo dell’intermittenza
in quel formare e rovinare
sorbire e espellere:
lo stato infinitesimale
della contrazione
e della sua apertura.

Col bere si rinnova
il liquido perduto, in
ogni centimetro quadrato
raggiunto e irrorato.
Si ricompone con il mangiare
quanto è stato consumato,
diluito e raffinato.

Il bere sempre in
abbondanza, nei pasti
e fuori, specie di mattina.
Acqua pura, ricca di
minerali e alcalina.
Alla temperatura con cui
sgorga alla sorgente.

Nei cibi, invece,
consuetudine e misura.
Produce guasti e
mali l’intemperanza.
La novità non giova,
come l’abbondanza
o l’astinenza.

Secondo un ordine:
prima i più leggeri
i liquidi sotto ai solidi
e, sempre, in qualche modo
grati e prediletti.
Senza che ci sia, vicina,
l’ombra del sonno.

All’ora giusta, la
mattina, prima che l’aria
si riscaldi e, la sera,
quando l’aria già
è più fresca. Con, in
mezzo, almeno sette
ore di distacco.

Senza tardare, se
viene l’appetito. E
senza aggravio di
discorsi appassionati.
Nel più assoluto stato di
tranquillità, abbandonati
a sogni e fantasie.

Mai pieni del tutto:
che resti un po’
di vuoto, di riserva.
Masticare a lungo
prima di inghiottire,
sempre lentamente
per poca quantità.

Cibi caldi più che
freddi, ma poco brodo di
carne e molto di verdura.
Grossi, d’inverno, e
teneri, l’estate.
La cena più leggera,
sempre, del pranzo.

E il cibo sia doppio
al bere, e il pane
due volte più del cibo.
La varietà è sempre
da fuggire, pestifero
l’incrocio di sapori,
le opposte qualità.

Mai la frutta mescolata
agli altri cibi o
carne e latte assieme.
Pane bene fermentato,
lievemente salato
di semola e cotto
a fuoco moderato.

Le erbe crude: rape,
cicoria, rucola, lattuga,
radicchio, cipollina,
solo in apertura
all’inizio del pasto.
I legumi, invece,
in mezzo agli altri cibi.

A conclusione, una
mela cotogna e un po’
di acqua fresca. Qualche
passo all’ombra e, poi,
seduti in calma per
non più di una mezz’ora
senza assopimenti.

Il vino, di sua specie,
è anche un cibo e come
tale va contato. In
mezzo agli altri cibi
e mai a digiuno
o con la frutta, e
all’uso degli antichi.

Tagliato magari,
per un terzo, d’acqua e
mai freddato in ghiaccio.
Gagliardo, con i cibi
grossi, e debole, con
quelli più leggeri.
In giusta proporzione.

Puro e chiaro,
limpido e brillante.
Di luoghi sassosi
aperti a mezzogiorno.
Né acre né addolcito,
né torbido o velato.
Restauratore delle facoltà.

da Natura morta, Nino Aragno Editore, 2012  

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