venerdì 20 maggio 2016

Paolo Ruffilli

DEL MOTO E DELLA QUIETE


Corrobora il calore
naturale, assale e
asciuga le superfluità,
più agile fa il corpo
e saldi i nervi, allora
grato, sì, ma solo
se leggero e moderato.

Pochi e lenti sempre
i movimenti, tali
da non forzare mai
il ritmo che è usuale,
necessari e sufficienti.
E, corte, tutte le
azioni accelerate.

Perché il moto, appena
spinto in corsa, è
principio di morte:
il suo precipitare
dentro al vuoto,
rompere e spezzare
i termini, le porte.

Ed è la quiete, invece,
il passo della vita:
andante cadenzato
vibrante modulato
di toni e di battute,
in un tracciato
di piccole impennate.

Il moto avvince
il freddo, lo deprime.
La quiete va più
a fondo e tempera
il calore, sa trarne
ogni vigore. La quiete
è la regola del mondo.

Ma non l’inerzia
che consuma, corrompe
le forze come il moto
estingue l’energia,
e svuota di ogni volontà
e rende schiavi, prede
in tutto della gravità.

Lo stato di deriva
e di galleggiamento
in cui il ritmato
e lento scorrere
degli atomi
li rende scivolosi
e più leggeri.

L’andare delle parti
una sull’altra,
il loro sollevarsi
e levitare al movimento.
L’essere è intanto ravvivato
appena con la spinta
in un momento.

da Natura morta, Nino Aragno Editore, 2012 



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