lunedì 19 maggio 2014

Eloy Sánchez Rosillo


Il verso che abbiamo seguito durante la scorsa settimana, l’ultimo del celebre sonetto di Luis de Góngora (1561-1627): Mientras por competir con tu cabello, trova, in questa bella poesia di Eloy Sánchez Rosillo (a distanza di qualche secolo, torniamo in ambito spagnolo), una declinazione del tutto nuova, elegiaca. Non c’è più la violenza barocca del “cadavere” di Suor Juana; manca l’allusività gongorina della “terra”, il “fumo” è diventato una “nebbia”, e la “polvere” si è trasformata in “parole”. All’“ombra” s’è aggiunto il “sogno” – richiamo all’altro grande spagnolo del tempo: Calderón de la Barca. Il “niente” resta, anche qui a sigillo del verso e della poesia. 
L’alessandrino di Eloy Sánchez Rosillo – che risponde al perfetto endecasillabo di Góngora – ha un’andatura diversa, ma, nella diversa bellezza, è altrettanto denso e intenso.  


Eloy Sánchez Rosillo

LA SPIAGGIA

Nessuno potrà togliermi – mi dico – l’illusione
di sognare che questa mattina sia esistita.
Il tempo s’è fermato: sento le tue risate,
le tue parole di bambino. Non sono mai stato
soddisfatto di tutto come ora, così certo 
della felicità. Giochi vicino
all’acqua ed io t’aiuto coi castelli di sabbia, 
a cercare conchiglie. Tu da un posto
all’altro corri, sguazzi, gridi, cadi, 
corri di nuovo, poi ti fermi accanto 
a me, mi abbracci, io bacio i tuoi capelli,
gli occhi, le guance, e l’esultante infanzia. 
Il mare è azzurro e calmo. In lontananza 
vele bianche. Ed il sole che ci lascia 
il suo oro violento sulla pelle.
                                                      Mi dico 
che il miracolo è vero, e che è vero il fluire 
immoto della quieta mattinata
e così l’illusione di sognare il ristagno
dolcissimo nel quale noi diventiamo esseri 
felici d’esser vivi, lieti di stare insieme
e abitare la luce.

                                Ma all’improvviso ascolto
il rumore terribile e cupo che fa il tempo
quando trascorre rapido e allora la certezza
del mio sogno si spezza; si frantuma
– come fragile vetro – l’illusione
di stare qui, con te, vicino all’acqua.
Diventa scuro il cielo, il mare s’agita.
E io sento nel sangue la paurosa vertigine
dell’età: in quell’istante sono passati gli anni.
T’ho visto allontanarti, ormai cresciuto.
E non sei più il bambino che giocava col padre, 
sulla spiaggia. Sei un uomo, ora, e anche tu 
lo capisci che non è mai esistito, 
che non esiste e mai esisterà quel giorno, 
la gioia favolosa degli occhi che ti guardano, 
la leggenda impossibile della tua infanzia.
Sei da solo e mi cerchi. Io sono morto, forse.
Siamo le ombre di un sogno, nebbia, parole, niente.


Traduzione di Francesco Dalessandro

da Las cosas como fueron. Poesía completa, 1974-2003, Tusquets, 2004 

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