mercoledì 31 luglio 2013

Domenico Vuoto

AFORISMI 


Non si scrive degli uomini se non si medita di cancellarne un certo numero ogni giorno.

Un’esistenza che difetti di ispirazione è destinata a corrompersi in un’abitudine.

L’erotismo non è la scintilla della passione amorosa. È molto di più. È quell’accensione della mente che l’attraversa dal principio alla fine.

L’artista non può che sentirsi uomo in prigionia. Sorvegliato da quella parte di sé che, dalla ristrettezza di una cella, aspira a una libertà illimitata.

La compassione: un sentimento così alto impervio doloroso che si finisce per ripiegare su quel tiepido surrogato che è il compatimento.

L’ideale del quieto vivere è la vocazione a una morte educata che non contempli i vitali processi di decomposizione.

Nella solitudine non c’è desolazione. C’è il deserto. L’asprezza e il nascosto rigoglio del deserto.

È in viva assenza della persona amata che si accresce il desiderio. È in questa ferita che il desiderio divampa e si strugge della sua stessa pienezza.

Le prime donne in poesia sono come quegli attori di filodrammatica che fanno di tutto per essere notati dal grande impresario teatrale. 

Non è poesia ciò che non porta in sé e cattuta altra poesia, e ne è infine contaminato. 

L’inutilità della poesia. Espressione ribadita con tale appassionato convincimento dagli stessi poeti da far temere che si voglia passare dalle parole ai fatti, e non scrivere più un solo verso.


Inediti

lunedì 29 luglio 2013

Constantinos Kavafis

LA FINE DI ANTONIO

Ma quando udì le donne piangere
e lamentare la sua triste condizione,
la signora coi tipici gesti orientali
e le schiave nel loro greco imbarbarito,
gli si riaccese nell’anima l’orgoglio, 
il sangue italico fremette disgustato:
le cose fino allora adorate ciecamente – 
la sfrenata vita alessandrina –
gli apparvero estranee, irrilevanti.
E disse di non piangerlo, che non gli si addicevano          
i lamenti, e era meglio celebrarlo
per il conquistatore ch’era stato,
così ricco di beni e di molto altro.
Era caduto? Non indegnamente,                   
ma da Romano e vinto da un Romano.

Traduzione di Nail Chiodo e Francesco Dalessandro

venerdì 26 luglio 2013

Pier Antonio Quarantotti Gambini

PICCOLO MADRIGALE D’ESTATE

Vorrei essere il sole
che t’indugia su spalle e ginocchi,
lasciando il color delle viole
intorno ai bruni tuoi occhi.

Vorrei essere il vento,
che t’investe e ti abbraccia,
e ti sussurra parole
sfiorandoti in faccia.

Vorrei essere il mare,
che le caviglie ti lambe, e poi tutta
ti accoglie.
Chi più di lui ti può amare?

Vorrei essere l’aria,
che ti carezza i capelli con dita
di luce; l’aria
da cui respiri la vita.

Vorrei esser la sabbia,
che – al sole al mare al vento
di sé ti fa nido,

o pura come un grido
di gioia infantile,
librata come zampillo
in cielo d’aprile: 
tu, la più bella
di tutte, e di tutte
la più gentile.

26 luglio 1962


da Al sole e al vento, Einaudi, 1970

mercoledì 24 luglio 2013

Annelisa Alleva

DALLA SFERA CONTEMPLATA DEL MONDO

Dalla sfera contemplata del mondo
entravano giochi e persone goccia a goccia,
analgesici notturni dosati sul cucchiaio.
Palloni pattini altalene bolle di sapone.
Tu entrasti a cascata, evento puro.
Le rupi fecero sangue, gengive scavate
dal bisturi. L'intero sistema vacillò.
Camminare con te significava invertire
i movimenti del passo: allungavamo
la stessa gamba, come capita a chi
si è guardato troppo a lungo allo specchio.
Un miracolo se ancora sei, e io sono,
e se, calzati gli occhi, le sagome coincidono.

Da L’oro ereditato, Il Labirinto, 2001

lunedì 22 luglio 2013

Valerio Grutt

UN GIORNO TORNERAI A ISCHIA LUCENTE

Un giorno tornerai a Ischia lucente
isola sola, lontana mille anni dal mare.
L’abbronzatura all’oro degli anni
che brilla di notte al gelato d’agosto

e scale di case dall’aria salata
che increspa i capelli, e salite e discese dagli occhi.
A lui chiederai i capelli a cavatappi,
e di pettinarti giornate strappate all’abbraccio

della madre larga e del padre fascista
che ti compra le scarpe per camminare in campagna
e t’adotta alla zia che ti lascia una corda
per attaccare il sole a una sedia sul balcone.

Mamma che sfogli settimane enigmistiche,
e t’accendi al divano per le corde che stridono
dell’ascensore che mi porta al quarto piano.
Figlia di un marito scorpione e parrucchiere,

che giocava nella vita da angelo, tirato giù da un albero
a bere dagli spigoli le cose felici, tendeva una mano
al tuo sonno cattivo e tre figli, ti baciava sereno
come se non esistesse la pioggia ed il buio.

Tornerà la gioia del primo giradischi
la scoperta di cose naufragate nell’ombra.
Le ali aperte dei figli tuffati, alla buona pazienza
del cuore, di piazze, di auto al casello,

del respiro, vacanze, di sere finite
alla noia beata dell’essere soli.
Verrò a mangiare melanzane a funghetti,
all’alba del tuo sorriso preso a bellezza dei salti di uccelli.

Da Una città chiamata le sei di mattina, Edizioni della Meridiana, 2009

venerdì 19 luglio 2013

Alessandro Peregalli

IL REGNO DEI SERAFINI

Ho vissuto per tre mesi nel chiaro regno dei serafini
e la terra sotto di me era casta innocente e luminosa.
Il buio della morte era chiuso nei suoi tetri confini,
non lambiva la mia anima ridente con la sua ala tenebrosa.

Il tuo volto gentile, contornato da bagliori d’oro,
era sempre davanti ai miei occhi perché ad esso mi volgevo in 
                                                                            / poesia;
sullo sfondo le montagne candide facevano coro
al tuo aspetto immortale, regina dell’anima mia!

Ora la poesia è finita, quella gloria angelica è spenta;
restano fiamme che si accendono e muoiono a tratti;
cavalcate di buio tornano a ghermirmi senza

ch’io sia in grado di reagire e, se t’incontro, anche i tratti
del tuo volto mi sembrano un po’ cambiati, quasi un peso grave
li renda meno armoniosi e limpidi e più aridi e sfatti.

I tuoi occhi han perduto l’immensità del cielo visto da una nave!


Da La cronaca. Poema 1939-1982, il Saggiatore, 2003

mercoledì 17 luglio 2013

Gianfranco Palmery

 MADRIGALI DELL'ALBA


                   faccio tomba del giorno – morte in vita:
                            la notte viene quando è già sparita


I

Ecco le puntuali, azzurro-pallide
cinque del mattino, la luce
delle cinque del mattino che passeri
e merli traducono nei soliti
solfeggi uccelleschi, gridando
la loro disperazione per l’arrivo
d’un altro giorno, o forse fanno
solo gl’ingenui araldi della vita:
tu abbassa la serranda, tira le tende
e che venga la notte finalmente!



II

È la luce che annuncia la mia notte
con i noti cantori che orchestrano
tutte le sante cinque del mattino
ciù-ciù, cra-cra il loro concertino:
questo strenuo teatro di finestra
l’intermezzo obbligato che vorrei
saltare – da buio
a buio scivolando alle sei
calate le serrande contro il mondo
per trovare, forzato notturno,
finalmente il mio sonno – e che fuori
passeri e merli aprano pure il turno
dei forzati di giorno!



da Corpo di scena, Passigli, 2013

lunedì 15 luglio 2013

Tommaso Campanella

MADRIGALE

Di’: come al buio hai tu distinto l’ossa?
i nervi soprasteso alle giunture?
tante varie testure
di vene, arterie e muscoli formasti,
le viscere, le fibre e legature?
come il bodel si piega, stringe e ingrossa?
come, di carne rossa
vestendo il tutto, la testa scarnasti?
come il caldo obbedia? come il frenasti? 

Da Poesie, a cura di Giovanni Gentile, Sansoni, 1938

venerdì 12 luglio 2013

Alberto Bellocchio

L’AUTUNNO CALDO SOTTO LE MURA

L’autunno caldo sotto le mura
di Troia. I capitani sono a consulto.
Mostrano alcuni le mani corte e callose
avendo a suo tempo servito come scudieri,
e chi viene da regge in cui è di casa l’aedo
e il filosofo. I furori ricevuti in dono
dal dio con la promessa fallace dell’immortalità,
e altri le dee mantengono freschi e ricciuti
come teneri amanti. Lontane cattività nelle galere
nemiche a questi hanno plasmato il carattere...
sono i più forti profeti e dialettici.

Li guarda estasiato il portatore di lancia
ritiene un onore tenergli le briglie, essere
chiamato per nome. Ne studia gli accenti
li seguirebbe all’assalto del cielo...


Da Sirena operaia, il Saggiatore, 2000

mercoledì 10 luglio 2013

Eucanaã Ferraz

VITA E OPERA

Sappi, Cicerone, che le coppe diventano
più leggere quando sono piene di vino.

E dopo ogni coppa, tu sarai d’accordo,
quest’impressione aumenta. Dèi, vuoto,

canzoni, vino: questa è una poesia sulle poesie
e l’amicizia.

Sappi che per noi è lo stesso: il peso
si fa più lieve in noi se ci capita un verso.


Traduzione di Francesco Dalessandro

Da Sentimental, Companhia Das Letras, 2012

lunedì 8 luglio 2013

Gino Scartaghiande

POI CHE MOMENTO

Poi che momento
invaso di tutto.
Quante più dolci
soste, quanti particolari.
È compiuto
dilatarsi. Ora che faccio
erba piccola, ora che sono
minimamente scomparso.
E sotto di me vive
questo prato d’arte.
Non parlarne più. Non
ho potuto amarti. E mi sento
inseguito. E se parlo lontano
le parole vanno più avanti
che indietro. Più prese
in un di te che vedono lontane.

Da Bambù (questioni di provincia), Rotundo, 1988

venerdì 5 luglio 2013

Maria Luisa Spaziani

FOLLIA NON È SAPERE CHE DI TUTTI

Follia non è sapere che di tutti
quei trentamila giorni che viviamo
ne resteranno forse dieci o venti
ben vivi alla memoria. Ma è pensare
che per qualche disordine o disguido
o inframettenza di diavoli scaltri,
quei dieci o venti giorni a cui si affida
la nostra vera storia
non son quelli, ma altri.

Da Poesie, Oscar Mondadori, 1979

mercoledì 3 luglio 2013

Onofrio Lopez

DUALISMO

Tu cerchi, non trovi
la verità nel verso delle cocorite,
sui terrazzi delle ville;
zampilla l’acqua sulle balze
verso il piazzale-cosmopoli.
Desideri l’approvazione del senso comune
nel disegno dei colli, il profumo
dei fiori (rosee ciocche), muto
al poetare delle libellule.

Osservo i tetti rossi della città,
le torri di pietra nei secoli,
il villaggio (uovo di genii ),
il fondersi delle luci simmetriche.
Ritrovo le cose
che, al tuo sguardo esaurito,
al sicario della nostra fase,
lo stesso,
a chi non sa, non pensa,
non vuole e ci opprime,
si nasconde.

Da Diciamo in onore, Quartomondo 1973

lunedì 1 luglio 2013

Attilio Lolini

DEDICA

Figure ondeggianti che un giorno appariste
ai miei occhi turbati, perché nuovamente
vi avvicinate? Da nebbie e vapori salite
verso di me. Il mio giovane cuore è commosso.
Un soffio incantatore vi circonda, immagini
di giorni sereni risorgono.

Ma anche il dolore si rinnova, il rimpianto
traversa tutta la vita: ripete i nomi dei buoni
che defraudò delle ore felici: gli scomparsi, gli assenti;
le anime per le quali intonai i primi canti.
Ora gli amici sono lontani, dispersi
la sofferenza s’espande verso la folla ignota.

Nostalgia e desiderio mi traggono
verso quel muto mondo degli spiriti,
un brivido m’afferra, le lacrime si sciolgono
e il duro cuore s’allieta dolcemente. Ciò che era
scomparso riprende vita e realtà.

(da Goethe)

da Carte da sandwich, Einaudi, 2013