mercoledì 9 gennaio 2013

Roberto Coppini


NON UNA TERRA

*

L’uomo rovescia nella corrente
gli avanzi del giorno;
non distoglie lo sguardo dalle acque
anche se un volo di uccelli,
risaliti fin qui dalla foce dei venti,
porta burrasca. Altri compagni verranno
e tu tra tutti indossato il tuo corpo.
Non è medicina che possa guarirti,
né cera pigiata dentro gli orecchi,
ti tradisce l’odore che hai
di un’erba rara, domestica.

*

Tarderà la vendemmia nei vigneti.
L’aria quasi notturna ci volge
a folate nel tepidario
affollato di anime impazienti.
Chiedevi per te un destino
diverso, ma da una parte sola
ti sbilancia l’amore e più ancora
la pena del suo contrario.
Il traghetto si stacca da terra,
ci si chiama per nome da riva a riva
illusi in questo modo di conoscerci.

*

Fu dove il ponte passa
in altra terra
e il pulviscolo d’acqua
assembrava la pioggia,
fu lì che dicesti: « Il luogo
non è questo ». Tutto parve
usuale: la freccia di confine,
le sentinelle aggravate dal sonno,
il volto inerte di chi impersona
un dio sdoppiato,
specchio che ti ravvisa.

*

« Ubique domus mea », ma se la casa
è il tuo corpo, chi lo respira ora,
chi ne allontana i battenti
o li tira a sé, impedendo
la sera del terzo giorno
che tu ritorni tra i vivi?
La ronda che rientra dalle mura
è il numero dei passi che ci fu dato.
Se indugi è per toccare
l’effige di un re
sul dorso di una moneta
che ti affrancava dal male.

*

Nessuno trovò il libro che lasciasti cadere,
un libro che non leggesti mai, percorso
a ritroso fino alla porta chiusa
oltre la quale pensavi gli animali
del primo giorno e non una terra,
ma un luogo che a saperlo era soltanto amore;
dove le mura si aprivano al passo
perché le muoveva una primaria carità,
la febbre che spinge alla luce
le cose germinate dal suolo
o da se stesse, che insieme viaggiano
giorno e notte, astri indivisibili.


Da “Arsenale”, Rivista trimestrale di letteratura, N. 0, ottobre-dicembre 1984, Il Labirinto

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