mercoledì 19 dicembre 2012

Giancarlo Pontiggia


PAESI D’ACQUA; TERRE

Paesi d’acqua; terre
fumiganti in una
polvere di secoli; pietre,
su cui l’ombra sprofonda, lenta, avara;
porte, che il cielo affaticò
e ora, scaglia dopo scaglia, sbriciola:
solo il tedio – triste, trionfante
verme – resta 
accanto alle nostre anime, scordate.
E intanto le inette, le rumoreggianti
ore precipitano, all’improvviso, colano
in uno sfondato otre, e la dimenticanza
le possiede: niente rammentiamo
di più che una scialba sagoma,
un cielo di cartone. Eppure
dopo i giorni di fango, dopo le albe
crude, d’un colpo una memoria
sovviene, e scorrono
tra le alghe del sangue, più forti,
i vermigli tremori, acquazzoni
di una festante vita, che risorge,
intatta, e strugge, come lo scricchio
del gelo che si scioglie, o come
il chiuso bocciolo della gemma, sul quale
la stagione incide il suo
imperioso sigillo. Addio, foschi giorni
spazzati da un’insana acrimonia, e voi,
acque del tempo che sanguina, e s’impaluda.
Torna a battere, cuore, disserra
le dure palpebre, offri
un canto non di guado
a questa piagante scorza: sii
la chiglia che si mosse
per prima verso la fatata Colchide, e la sua
stupita ombra, dipinta tra le selve
del mare. Così la forte tolda
dei pensieri – gli audaci, i giovani – 
s’imporpora alla nuova

stagione che viene.

Da Bosco del tempo, Guanda, 2005

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