venerdì 21 settembre 2012

Domenico Ludovici


La poesia che segue, La doccia, composta da una serie di tre sonetti (in qualche punto certo audaci, ma mi auguro che nessuno se ne dispiaccia), è tratta dai Sonetti del nostro adulterio di Domenico Ludovici. Alla fine della stessa, i lettori di questo blog troveranno, eccezionalmente, una lunga notizia. Se avranno la pazienza di leggerla, conosceranno una vicenda perlomeno curiosa e apprenderanno qualcosa sull’identità dell’autore oggi ospitato.


LA DOCCIA

I

quando tua madre ha detto «sta facendo
la doccia» m’è venuto in mente Giove
che trasformato in pioggia d’oro piove
su Danae e la possiede ma salendo

a tempi più vicini trasvolando
millenni di realtà e di desideri
mi sono ricordato alcuni versi
di una bella canzone e canticchiando

«vorrei essere l’acqua della doccia
che fai» ho immaginato di colarti
sui capelli sul viso sulle braccia

di scivolare dalle spalle ai seni
e di scendere lento – fino a darti
un brivido – sul ventre e sulle reni

II

avvolgendoti tutta ho sospirato
di scenderti impaziente sulle anche
aguzze e brune sulle membra stanche
da me rigenerate ed arrivato

nell’incavo delle tue cosce bianche
penetrare freschissimo nel fuoco
della tua fica, amore, e poco a poco
evaporare goccia a goccia «anche

se vuol dire morirne avrò raggiunto
lo scopo della vita: morirò
senza rimpianti» mi son detto giunto

a quella conclusione – ma anche altro
dopo l’acqua ho capito che potrò
essere per avvolgerti: cos’altro?

III

sarò l’accappatoio che ti avvolge
soffice la sua spugna colorata
morbido stringerò la carne amata
e asciugandola forse certe voglie

appagherò perché ti terrò stretta
sui seni e intorno ai fianchi sulle spalle
forti sulle anche aguzze sulla pelle
sentirò la tua febbre: schiena eretta

gambe robuste braccia forti ventre
languido t’avrò tutta finché quando
mi lascerai per terra indifferente

sarò il lenzuolo che stropiccerai
dormendo inquieta o forse rigirandoti
insonne e insoddisfatta perché avrai

voglia di me che non dormo sognandoti

(inedita)



NOTIZIA

Già il 21 ottobre dell’anno scorso, avevo pubblicato una serie di tre sonetti, intitolata Compianto, aggiungendovi una breve nota esplicativa sull’autore, che qui non ripeto (e più sotto se ne comprenderà il perché).

Qualche giorno fa, ho ricevuto un lungo commento a quel post da parte dell’autore della poesia. La cosa mi ha incuriosito e immediatamente sorpreso: il perché ognuno potrà intuirlo leggendolo, qui sotto. Infatti, mi è sembrato giusto non lasciarlo solo a margine di quella vecchia pagina e dunque di riproporlo ai lettori di “Poesie senza pari”. Ho perciò deciso di ripubblicarlo qui (tagliandone solo le righe finali che molto gratificano me e la mia poesia, ma poco interesserebbero ai lettori), di seguito alla poesia. Prima, però, devo a Ludovici una spiegazione sul come, grazie a Severino Fonte, scomparso di recente, conobbi il suo dattiloscritto.
Severino, fra le molte cose cui si dedicava, era consulente e lettore per una piccola casa editrice e in quella veste, diversi anni fa, ebbe tra le mani il dattiloscritto del libro di Ludovici, Sonetti del nostro adulterio. Ecco quel che mi scrisse, spedendomi il dattiloscritto: «Domenico Ludovici è uno pseudonimo. Era il nome di un erudito gesuita d’inizio Settecento (mai sentito? pare fosse un tuo compaesano), del quale si può leggere ne Le vite degli illustri aquilani di Alfonso Dragonetti; scrisse anche carmi in latino a imitazione di Tibullo, nei quali però, commenta Dragonetti, “indarno vi cercherete la dolce anima e l’ardente affetto del cantore di Delia”). Nessuno conosce la sua vera identità. L’editore è convinto che sia uno stimato professionista (avvocato? notaio?) operante fra l’Aquila e Roma. Il mio parere è stato favorevole alla pubblicazione (suggerendo solo di modificare il titolo), nonostante il linguaggio piuttosto spinto, al limite della pornografia, se non fosse riscattato dalla delicatezza del tono e dalla sincerità della passione; ma l’editore all’ultimo momento ha avuto paura. Leggi un po’ tu e dimmi che ne pensi. P.S.: ho cercato di rintracciare l’autore, scrivendo alla casella postale che c’era sul dattiloscritto, ma la lettera m’è tornata indietro». Lessi, e restai un po’ sconcertato anch’io dalla crudezza del linguaggio, ma anche affascinato, perché le poesie mi sembrarono delicate, addirittura tenere e forse anche ingenue, a momenti. Glielo scrissi e la cosa finì lì. Dopo la sua scomparsa, quel dattiloscritto mi è tornato tra le mani e l’ho riletto. Rimuginando sulla stranezza della vicenda, ho cominciato a chiedermi se non fosse possibile che sotto lo pseudonimo di Domenico Ludovici si celasse il mio amico stesso; cosa davvero sorprendente, perché – non l’ho ancora detto – Severino Fonte era un sacerdote, ma troppe erano le coincidenze: lo pseudonimo, lo strano riferimento al gesuita del Sei-Settecento venuto fuori non si sa come, la casella postale non più attiva... Comunque, decisi di scegliere una poesia e di pubblicarla, come omaggio al mio amico. Il libro, come dice il titolo, è un breve canzoniere d’amore (rifacimento novecentesco di un qualunque petrarchista del Cinquecento, o moderno e più attuale riferimento ai bei sonetti di Berryman?) su un adulterio e termina con la morte prematura della donna che lo ispirò. Evitando le poesie più esplicite, scelsi l’ultima, un Compianto sulla scomparsa della donna, e la misi sul blog il 21 ottobre dell’anno scorso. Aggiunsi una nota che riproduce quasi alla lettera il biglietto del mio amico, precisando che pubblicavo senza l’autorizzazione dell’autore perché impossibilitato a contattarlo. Questa è la storia. Perciò immaginatevi la mia sospresa leggendo il commento al post. In un colpo solo ho scoperto che Severino aveva torto a pensare – chissà? forse immaginando che l’autore non si sarebbe esposto a un riconoscimento, data la materia – che Domenico Ludovici fosse uno pseudonimo, che perciò quel gesuita non c’entrava niente; e che avevo torto anch’io a credere la storia una bella invenzione dello stesso Severino. Ma ecco ora il commento di Ludovici.

« Solo da poco, per una serie di (fortunate) circostanze, ho scoperto l’esistenza di questo blog e del particolare che una mia poesia vi era pubblicata. Ho letto divertito la nota che l’accompagna. Divertito perché essa, almeno per la prima metà, è assolutamente priva di fontamento. Tuttavia, essendo stata scritta assolutamente in buona fede, merita una spiegazione.
La convinzione del curatore del blog che il mio nome, Domenico Ludovici, sia uno pseudonimo, si deve – in assoluta buona fede, ma non senza supponenza – a Severino Fonte. Immagino che nascesse dal fatto che, nelle poche righe con le quali accompagnavo il dattiloscritto dei miei Sonetti del nostro adulterio (titolo che ritenevo assolutamente provvisorio), ormai più di venti anni fa, manifestavo l’intenzione di pubblicarlo sotto pseudonimo, per preservare la privacy dei protagonisti (cosa ormai non più necessaria). Firmavo, però, col mio vero nome. Evidentemente, Fonte e l’editore stesso fraintesero, pensando che quello fosse già lo pseudonimo. Nessuno dei due credette necessario accertare quell’identità (sarebbe bastato davvero poco: vivo all’Aquila da sempre – ma sarebbe più giusto dire: vivevo, perché il terremoto mi ha lasciato ormai senza casa e senza le cose che vi erano raccolte; prime fra tutte, i libri – esercitando, ancora per poco, l’avvocatura e occupandomi sporadicamente di politica); quando poi la pubblicazione fu rifiutata, la cosa divenne superflua. Ma Severino Fonte si ricordò di quel gesuita d’inizio Settecento (invero, un antenato della mia famiglia) e, sembrandogli d’aver scoperto l’origine dello pseudonimo, ne informò Francesco Dalessandro inviandogli il dattiloscritto, stimato degno di lettura. Questo lo scopro ora, perché, per la verità, avevo sempre creduto che la bocciatura fosse dovuta anche a lui (oltre che letterato acuto e attento, il Fonte era prima di tutto un sacerdote), mentre fu solo l’editore (adesso è certo) a ritrarsi spaventato. Sebbene troppo in ritardo perché possa riceverle, porgo al Fonte le mie scuse, lusingato che ritenesse il libro degna opera di poesia, e ancor più lusingato che lo stesso giudizio sia stato espresso, implicitamente, da Dalessandro. [...] ». Domenico Ludovici



1 commento:

  1. Merita forse aggiungere che Severino Fonte era il fratello maggiore del poeta Camillo Fonte (L'Aquila 1951 - 1987), del quale questo blog ha ospitato già tre poesie, precisamente il 4.3.2011, il 15.4.2011 nella pagina intitolata "Il tumulto dell'animo", e infine il 19.9.2011.

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