venerdì 21 ottobre 2011

Domenico Ludovici

COMPIANTO


I

vorrei essere pietra pietra bianca
la pietra della tomba che ti chiude
la pietra nera che oramai t’affranca
da pene e da fatiche da salute

e malattia da povertà e ricchezza
da una vita infelice da ogni amaro
suo giorno disperato dall’asprezza
di notti solitarie e senza amore

vorrei essere terra terra scura
la terra che t’avvolge e ti preserva
per sempre da dolore e da paura

la terra bianca che oramai consuma
la carne amata e se ne nutre e serba
il tuo fresco respiro e ne profuma

come intorno alla pietra l’aria e l’erba


II

invece sono – ancora – carne stanca
capelli grigi ventre pingue cute
macchiata e palliduccia ovvero manca
colore e fuoco alla mia vita nude

e insonni le mie notti con la sciatica
che mi tormenta e con il mal di schiena
soffro per la tua assenza e disperati
cadono i giorni smagrisce la vena

dei versi che ti dedico si sfianca
anche la musa, amore mio, si stanca
a cercare una rima e per l’acuta

volontà di non crederti perduta
per sempre e di non piangerti s’impicca
al dolore che provo e che conficca

aculei di veleno nei precordi
ché soffrano e non restino mai sordi


III

al richiamo del volto ormai svanito
nella nebbia confusa della morte
allo sguardo dolente e divertito
che nel ricordo mi reca conforto

alla tua voce debole che il sonno
fa giungere attutita dal profondo
della coscienza che però mi parla
chiara di te e di me se l’ascoltarla

non risvegliasse il brivido reale
che suscita l’assenza e non tremassi
sgomento nel silenzio della notte

se insieme alla presenza tua ideale
vivo il tuo corpo non desiderassi
stringere tra le braccia e in una morte

più piccola e violenta scivolare
e perdermi ormai morto nella vita
che insieme a te io non ho mai vissuta


da Sonetti del nostro adulterio (raccolta inedita)


Domenico Ludovici è uno pseudonimo. (Era il nome di un erudito gesuita d'inizio Settecento, del quale - ne Le vite degli illustri aquilani di Alfonso Dragonetti - si legge che scrisse anche carmi in latino a imitazione di Tibullo, nei quali però "indarno vi cercherete la dolce anima e l'ardente affetto del cantore di Delia"). Nessuno conosce la vera identità di questo poeta. 
La raccolta, tuttora inedita, da cui è tratto questo Compianto, fu proposta alcuni anni fa a un piccolo editore aquilano. In qualità di consulente di quello, l’amico Severino Fonte (al quale devo la conoscenza del dattiloscritto) diede parere favorevole alla pubblicazione; l’editore tuttavia rifiutò il testo, spaventato dalla scabrosità dell’argomento. Non potendo chiedergli il permesso di pubblicare la poesia, mi auguro che al poeta non dispiaccia.

1 commento:

  1. Solo da poco, per una serie di (fortunate) circostanze, ho scoperto l’esistenza di questo blog e del particolare che una mia poesia vi era pubblicata. Ho letto divertito la nota che l’accompagna. Divertito perché essa, almeno per la prima metà, è assolutamente priva di fontamento. Tuttavia, essendo stata scritta assolutamente in buona fede, merita una spiegazione.
    La convinzione del curatore del blog che il mio nome, Domenico Ludovici, sia uno pseudonimo, si deve – in assoluta buona fede, ma non senza supponenza – a Severino Fonte. Immagino che nascesse dal fatto che, nelle poche righe con le quali accompagnavo il dattiloscritto dei miei Sonetti del nostro adulterio (titolo che ritenevo assolutamente provvisorio), ormai più di venti anni fa, manifestavo l’intenzione di pubblicarlo sotto pseudonimo, per preservare la privacy dei protagonisti (cosa ormai non più necessaria). Firmavo, però, col mio vero nome. Evidentemente, Fonte e l’editore stesso fraintesero, pensando che quello fosse già lo pseudonimo. Nessuno dei due credette necessario accertare quell’identità (sarebbe bastato davvero poco: vivo all’Aquila da sempre – ma sarebbe più giusto dire: vivevo, perché il terremoto mi ha lasciato ormai senza casa e senza le cose che vi erano raccolte; prime fra tutte, i libri – esercitando, ancora per poco, l’avvocatura e occupandomi sporadicamente di politica); quando poi la pubblicazione fu rifiutata, la cosa divenne superflua. Ma Severino Fonte si ricordò di quel gesuita d’inizio Settecento (invero, un antenato della mia famiglia) e, sembrandogli d’aver scoperto l’origine dello pseudonimo, ne informò Francesco Dalessandro inviandogli il dattiloscritto, stimato degno di lettura. Questo lo scopro ora, perché, per la verità, avevo sempre creduto che la bocciatura fosse dovuta anche a lui (oltre che letterato acuto e attento, il Fonte era prima di tutto un sacerdote), mentre fu solo l’editore (adesso è certo) a ritrarsi spaventato. Sebbene troppo in ritardo perché possa riceverle, porgo al Fonte le mie scuse, lusingato che ritenesse il libro degna opera di poesia, e ancor più lusingato che lo stesso giudizio sia stato espresso, implicitamente, da Dalessandro. E più mi lusinga perché ritengo Dalessandro uno dei migliori e più bravi poeti di questi nostri tempi (ogni suo libro è una diversa avventura della mente) e, senza alcun dubbio (o piaggeria), il mio preferito. Molto mi piace quest’occasione per dirglielo. Domenico Ludovici

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